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A ogni stilista il suo colore

"Il colore è un potere che influenza direttamente l’anima", così diceva Wassily Kandinsky.


Forse è per questo che alcune nuance, ancora di più di un logo, una firma o un monogramma, sono diventate così peculiari dello stile di un designer, così imprescindibili dal suo lavoro, da rendere riconoscibile all’istante una sua creazione che sfoggia quello specifico colore. Forse è per questo che alcuni stilisti hanno addirittura inventato o dato il proprio nome a una particolare sfumatura, capace di racchiudere l’essenza della loro storia, del loro pensiero. Capace di renderli immortali.


E noi che continuiamo a chiamarli «solo» colori…



Oggi vi racconto 5 storie che legano indissolubilmente alcune importanti griffe alla loro tinta-simbolo.


Faremo un viaggio tra tinte leggendarie e fashion, custodi di un passato importante, artefici di successi, simbolo di rivoluzioni, esperte di marketing. Sappiate infatti che sono stati versati fiumi di inchiostro sull’importanza del colore nel marketing. Questo perché l’80% della nostra vita è filtrata attraverso gli occhi e il colore è un elemento fondamentale, custode di un potenziale che consente alle aziende di creare una brand identity strategica, sfruttando i suoi effetti.



Il Rosso Valentino

Non si parla di rosso senza nominare Valentino Garavani, che ha fatto (anche) di questo colore il segreto del suo successo planetario. Attratto dal rosso fin da quando, bambino, giocava nel negozio di passamanerie della zia. Durante la gavetta da Jean Dessès a Parigi andò al Teatro dell’Opera di Barcellona e rimase folgorato dai costumi vermigli che vide, tanto da dichiarare spesso e volentieri che dopo il bianco e il nero, non esiste colore più bello del rosso. Da quel momento divenne la sua firma: una tonalità tutta sua in bilico tra carminio, porpora e cadmio che, a partire dalla prima sfilata della Maison andata in scena nei primi anni ’60 a Palazzo Pitti, affascinò comuni mortali e teste coronate, muse e celebrità. Da allora è presenza fissa sulle passerelle di Valentino (indipendentemente dalla guida artistica, da un decennio affidata a Pierpaolo Piccioli, prima in coppia con Maria Grazia Chiuri, dal 2016 in solitaria).




Il Greige di Giorgio Armani

Non è solo un colore, summa delle sfumature (il grigio e il beige) più amate da Armani, ma è una filosofia di vita, un simbolo di neutralità, sintesi e raffinatezza. Rappresenta la capacità di comprendere le sfumature come valore, come artefici di una classe che rende unici. Armani le chiama tonalità neutre, soffici, filtrate, vissute. Il greige è una sfumatura dall’equilibrio perfetto: è meno calda del beige, meno fredda del grigio, si accosta perfettamente ad altri colori e ha il pregio di amplificare la luce, alleggerire la figura, regalare eleganza spontanea a ogni abito. Uno dei capisaldi dell’estetica Armani fin dai primi anni ’80, il greige ricorre sia nella palette delle collezioni donna che in quelle maschili, sfociando poi nel design (perfino il suo yacht, il Main, è greige), dimostrando di essere trasversale, malleabile, indifferente ai capricci delle mode. Lusso sussurrato, 100% chic.





Il Blu Balestra

La passione del blu per Renato Balestra è intrecciata al suo DNA.

Lo stilista si racconta così: «Fin da piccolissimo ho sempre avuto una passione per il blu, mi raccontano che se dovevo scegliere un oggetto, un abito, sceglievo sempre, per istinto, quello blu. Ho sempre amato giocare con i colori e quando ho cominciato a dipingere, provando a mescolarli per ottenere un blu particolare, un giorno ho trovato questo tono che poi ho adottato nelle mie collezioni. È stata, a dire il vero, la stampa, che vedendo spesso questa tonalità presente nelle mie sfilate ha cominciato a chiamarla Blu Balestra. Ora si trova un po' dovunque e ne sono molto orgoglioso». La prima volta che il Blu Balestra esordì in passerella fu nel 1958, quando il suo artefice firmò un abito a uovo tinto in una particolare tonalità di blu elettrico, che riscosse un grande successo e ammaliò all’istante la clientela estera.



Il Rosa Shocking di Elsa Schiaparelli

Nel 1936 un’italiana sconvolse e intrigò la borghesia parigina con le sue creazioni.

I vestiti di Elsa Schiaparelli erano surrealistiche provocazioni da indossare, così come il suo profumo.

La boccetta, modellata da Léonor Fini, si ispirava alle curve di Mae West ed era contenuta in una scatola nel colore brillante dei fiori della fucsia, una gradazione molto intensa di magenta. “Schiap” lo ribattezzò rosa Shocking, proprio come il profumo e divenne la sua nuance preferita, un concentrato di energia, esotismo, sfrontatezza. La portò sulle passerelle e sedusse la moda. Nella sua autobiografia (Shocking Life, 1954), Elsa Schiaparelli definì così il suo adorato Shocking pink: «Il colore mi si parò davanti agli occhi: brillante, impossibile, sfrontato, piacevole, pieno d’energia come la luce, tutti gli uccelli e i pesci del mondo; un colore proveniente dalla Cina e dal Perù, non occidentale; un colore “shocking”, puro e non diluito…».

L’Arancione di Hermès

La storia del colore iconico della griffe francese è bellissima. Era il 1945 quando Émile-Maurice Hermès, nipote del fondatore della Maison Hermès, si trovò davanti a un serio dilemma imprenditoriale: la seconda guerra mondiale aveva reso irreperibili le scatole in carta granulata color crema, simile alla pelle di cinghiale, che il marchio usava per confezionare i propri prodotti. Riuscì a trovare solo dei cartoni di un acceso color arancione, ma di necessità fece virtù: in breve tempo questa tonalità rese il marchio riconoscibile in tutto il mondo, diventandone il simbolo. Ancora oggi, se si pensa a Hermès, subito lo si collega a questo arancione raffinato, un po’ cotto, che tinge le Birkin più desiderate, gli outfit più contemporanei, foulard leggendari e allestimenti delle boutique.




Eccoci alla fine del nostro viaggio, spero con questo articolo di averti incuriosita sull'affascinante mondo che lega gli stilisti al colore.


Alla prossima settimana

Daniela

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